Organizzata con il patrocinio e il contributo della Municipalità di Lido e Pellestrina, la mostra, ospitata nella sala della Biblioteca del Conte di Palazzo Mocenigo, sarà aperta al pubblico dal 7 al al 21 novembre 2005.
La mostra Food for the Spirit, è l’occasione per ricordare i dieci anni di attività del gruppo arte e cultura Verdeacqua. Il Gruppo nasce infatti, come “laboratorio di creatività”, nel 1995. Nel 1997 si costituisce gruppo ARCI-Circolo Pablo Neruda, proponendosi come momento di incontro, di scambio e di apprendimento.
“Con la mostra Food for the Spirit, si vogliono ricordare i dieci anni di attività di questo gruppo di arte e cultura. E si vogliono ricordare affermando quanto la cultura, attraverso tutte le sue espressioni, sia imprescindibile dall’umano. La musica, la danza, la poesia, la letteratura così come le arti visive vengono a colmare la nostra esistenza, e perché no forse anche, a volte, ad alleggerirla! Non solo è indispensabile il fare ma altrettanto il fruire.
Questi artisti ce lo ricordano con la metafora del cibo. E’ interessante come ciò avvenga proprio qui, nelle stesse sale che un paio d’anni fa accolsero la mostra di Anna Moro-Lin Co-abitare. In fondo il tema che cogliamo oggi non è lontano da quello, sebbene svolto in forma diversa. Non è più un artista che crea un’opera ma un “gruppo”, il quale ancora una volta chiede la piena partecipazione del pubblico, creando un’opera tanto condivisibile, dove ogni figura si fa protagonista chiamando a sé degli interlocutori, in uno scambio che coinvolge i diversi sensi. La mostra si inaugura infatti con una serie di performances che hanno funzione di prologo all’esposizione e che al tempo stesso la integrano. La recitazione di un pezzo di Carlo Goldoni e la citazione di un’epistola dal Machiavelli al Vettori con un intermezzo musicale di strumenti a corda vengono ad introdurci all’opera e al senso di questa installazione legata al “cibo”: all’arte di prepararlo e presentarlo e ancor più alla metafora della cultura intesa come “nutrimento” necessario all’anima. La tavola simbolica, sin dal numero dei commensali, dieci come dieci sono gli anni di attività di questo gruppo, in un numero che ri-torna sottolineandoci la totalità in movimento e richiamandoci al dualismo dell’essere, si presenta elegantemente elaborata a partire dalla tovaglia, realizzata da Anna Moro-Lin, forza propulsiva e figura di raccordo tra le diverse esperienze qui a confronto, con la sua personale tecnica su garza, base su cui, non a caso, si “fonda” l’intero banchetto e da cui emergono e dialogano i manufatti realizzati dai singoli artisti: dai piatti e il grande centrotavola di frutta realizzati in cartapesta giapponese, tecnica che vede il sovrapporsi di numerosissime strisce di carta, in questo caso prese da pagine di giornali, in una stratificazione di informazioni che si mescolano e dialogano, andando anche questi oltre la materia stessa; ai bicchieri creati in garza, la cui trama del tessuto richiama il retino vitreo, sino alla figurazione delle posate stilizzate, quasi dei bastoncini cinesi, tutto rigorosamente realizzato nei colori bianco e oro. Anche i colori risultano simbolici, infatti se da un lato il bianco indica come tutto possa accadere, dall’altro l’oro richiama sia l’antica credenza di come questo metallo possa rinvigorire il cuore sia una proibizione della Magistratura Veneta alla Serenissima contro gli sprechi e le esagerazioni sfarzose. All’interno di ogni piatto possiamo poi notare altrettante opere, cibo offerto e di cui si nutre ogni singolo artefice dell’installazione, il quale porta in tavola la sua esperienza, il proprio particolare modo di interpretare il senso della cultura come cibo, e questi artisti lo fanno ponendoci dei significanti che risultano tanto intimi, personali, quanto universali. Ma questo gruppo ci “offre” anche un banchetto parallelo di “cibi d’artista”. Ne emerge una celebrazione del cibo, “artistico” e reale, legata all’importanza del dialogo, dello scambio e dei contatti sociali. Certo l’accostare il cibo ad una visione artistica, nella ricerca di una coincidenza arte-vita e quindi dell’”opera totale” non è nuova, ce lo ricordano illustri esempi dai Futuristi sino alle forme della Eat Art, oltre ai numerosi ricettari elaborati dagli artisti più diversi. Ma qui assume un particolare ruolo nel parallelismo installazione-banchetto. Se pensiamo alle installazioni realizzate con il cibo, non può non tornarci alla mente l’episodio narrato già dal Vasari, riferito al rapporto tra Jacopo detto l’Indaco e Michelangelo, in cui l’Indaco sembra realizzare una sorta di installazione ante litteram con dei fichi che il maestro della Sistina aveva richiesto: “…tornato dunque l’Indaco si avvide, dopo aver picchiato un pezzo la porta in vano, che Michelagnolo non voleva aprirgli e; perché venutogli collera, prese le foglie ed i fichi e fattone una bella distesa in sulla soglia della porta, si partì…”. Un omaggio dunque al maestro, la distesa di foglie e di fichi diviene un dono che sottende un’amara ironia, ma diviene anche tramite di uno scambio tra i due artisti nel simbolo dell’offerta.
Da questo lontano racconto si sono sviluppate, in particolare nel corso del Novecento, vere e proprie correnti artistiche sul rapporto con il cibo. Pensiamo ai già citati Futuristi con il Manifesto della cucina futurista del 1930 e con il testo La cucina Futurista del 1932 con cui gli artisti Marinetti e Fillia dichiaravano, nel primo, che “Il pranzo perfetto esige: un’armonia originale della tavola coi sapori e colori delle vivande; l’originalità assoluta delle vivande” mentre nel secondo sottolineavano che l’umanità si deve alimentare con “…nuovissime vivande in cui l’esperienza, l’intelligenza e la fantasia sostituiscono economicamente la quantità, la banalità, la ripetizione…” nella proposizione di una cucina originale, istintiva e ancor più artistica e provocatoria. Ma se pensiamo all’idea di relazione tra tavolo/tavola e cibo/convivialità non possiamo non ricordare le operazioni estreme di Spoerri, in cui la celebrazione del cibo è legata all’importanza dei contatti sociali e i cui mezzi divengono da un lato il tavolo apparecchiato che si fa tavolozza attraverso il quale operano i commensali che si fanno loro malgrado veri e propri “strumenti” del fare, in un’operazione artistica che integra e confonde, mescolandoli tra loro, soggetti e oggetti.
Rispetto a questi precedenti questo gruppo vuole, qui, celebrare il proprio sodalizio attraverso un convivio, che si fa artistico e intellettuale, affermando e dimostrando che se il cibo è necessario alla sopravvivenza del corpo fisico del singolo, la conoscenza, l’esperienza di un individuo divengono necessarie alla sopravvivenza del corpo sociale, che si sviluppa proprio attraverso le esperienze di ognuno, vale a dire tramite lo scambio ed il confronto delle diverse ‘culture’.” – Susanna Zattarin
“Quando ho proposto di festeggiare il compleanno del Gruppo l’idea è piaciuta subito a tutti. Si trattava di stabilire come. Troppo scontata l’idea di una festa qualunque. Doveva essere una festa “evento” che rimandasse l’esperienza vissuta in questi dieci anni ed esprimesse lo spirito di convivialità che anima i nostri incontri settimali. Se ripercorro l’attività svolta dal 1995 ad oggi la paragono ad un banchetto cui tutti abbiamo preso parte con ruoli diversi :quello mio, personale, di animatrice e quello di quanti hanno frequentato i Laboratori con fedeltà e coinvolgimento. Un banchetto dunque,simbolico e reale, costituito dagli interventi dei partecipanti che in tal modo divengono autori e protagonisti della performance. Una tavola imbandita in bianco e oro con cibo simbolico e, parallelamente, una preparazione e offerta di cibo reale. Questo il progetto della performance “Food for the spirit” da cui siamo partiti con un lavoro comune che è stato portato avanti assieme per mesi. Mi hanno colpito la creatività e l‘impegno dei protagonisti. Il loro “prendere la parola in prima persona” mi ha convinto, una volta di più, della validità del lavoro avviato dieci anni fa. Buon compleanno a tutti!” – Anna Moro-Lin