Organizzata dai Musei Civici di Venezia, con il contributo di Marzotto e la collaborazione tecnica di Rubelli Lorenzo e Hotel Cipriani, l’esposizione presenta circa 30 arazzi di grandi dimensioni che coprono l’ultimo ventennio di attività dell’artista. Il modo di raccontare di Liselotte Höhs, solo apparentemente semplice, in realtà molto concettuale, è sintesi geniale, compendio essenziale di uno stato d’animo, di un ricordo antico, di un sentimento improvviso. Pretesto ispirativo può essere un paesaggio esotico, uno scorcio folcloristico, un evento culturale, un’esperienza quotidiana, un prodotto commerciale, tutti gli animali sia familiari che allegorici.
La tavolozza usata è viva, i colori decisi accostati in maniera insolita, spesso in contrasto originale. La resa è assolutamente libera, apparentemente istintiva, non imbrigliata da pastoie prospettiche né da regole pittoriche. Il procedimento seguito nella realizzazione di questi ‘arazzi’ è simile a quello usato per le tarsie lignee o marmoree. Si costruisce una composizione, anche molto complessa, accostando frammenti di forme e materiali diversi: su una o più superfici di fondo si vanno progressivamente aggiungendo le varie ‘toppe’ policrome, mai comuni o banali, ricavate da scampoli sempre preziosi a volte “rafforzati” da schegge di merletti e di ricami, metalli, vetri, piccoli oggetti; altre volte capaci di curiosi effetti volumetrici da bassorilievo.
“Il modo di raccontare di Liselotte Höhs, solo apparentemente semplice, in realtà molto concettuale, è sintesi geniale, compendio essenziale di uno stato d’animo, di un ricordo antico, di un sentimento improvviso. Pretesto ispirativo può essere un paesaggio esotico, uno scorcio folcloristico, un evento culturale, un’esperienza quotidiana, un prodotto commerciale, tutti gli animali sia familiari che allegorici. La tavolozza usata è viva, i colori decisi accostati in maniera insolita, spesso in contrasto originale. La resa è assolutamente libera, apparentemente istintiva, non imbrigliata da pastoie prospettiche né da regole pittoriche. Il procedimento seguito nella realizzazione di questi ‘arazzi’ è simile a quello usato per le tarsie lignee o marmoree, anticamente definito ‘a commesso’. Si costruisce una composizione, anche molto complessa, accostando frammenti di forme e materiali diversi: su una o più superfici di fondo, supportate da un telo di sostegno, si vanno progressivamente aggiungendo, seguendo un determinato progetto mentale (solo qualche volta disegnato su cartone) le varie ‘toppe’ policrome, precedentemente ritagliate, applicate con spilli e poi cucite con semplice sopraggitto. Le differenti ‘tessere’ tessili di dimensioni variabili, mai comuni o banali, ricavate da scampoli sempre preziosi, anche antichi o comunque tessuti su telai manuali storici (come i lampassi o i broccati di Bevilacqua o Rubelli), oppure stampati a pochoir, (come i velluti o le sarge di Mariano Fortuny), sono suddivisi da Liselotte per soggetti: ‘cieli’, ‘tetti’, ‘prati’; ‘mari’, ecc. Quando deve rafforzare il simbolismo di un elemento compositivo utilizza anche schegge di merletti e di ricami, metalli, vetri, piccoli oggetti. Alcuni elementi del disegno, imbottiti con bombace o altro, producendo curiosi effetti volumetrici, da bassorilievo, tradiscono le origini austriache dell’artista. Fin dal tardo medioevo infatti è tipica dell’opus teutonicum, cioè del modo di ricamare delle antiche popolazioni germaniche, la consuetudine all’imbottitura, che rendeva plasticamente tridimensionali tali agopitture. Completata l’opera, solitamente di grandi dimensioni, si procede alla rifinitura e alla decorazione dei bordi, nonché alla foderatura definitiva. Fino a oggi Liselotte Höhs ha creato circa quaranta ‘tarsie’ tessili, forse definibili anche ‘mosaici soffici’.” – Doretta Davanzo Poli
“Ci sono moltissime Venezie. C’è quella di Canaletto, c’è quella di Guardi, ci sono le Venezie di Turner, di Ciardi, di Fragiacomo, di Marius Pictor, di Guidi, di Dufy, di De Pisis, di Kokoschka, di Meloni, di Steiberg perfino. Tutte Venezie diverse, nessuna si assomiglia. E c’è anche la Venezia di Liselotte Höhs. Venezia è unica al mondo proprio per questa sua facoltà straordinaria. Di non essere una, ma di essere moltissime città nello stesso momento. Non è che cambi di ora in ora, di fare questo sono buoni tutti. Venezia non cambia, eppure nel medesimo istante, ciascun uomo attraversandola, vivendoci, lavorandoci, passeggiandoci, mangiandoci, amandoci, vede una cosa diversa. Una specie di miracolo? Esattamente. Ecco qui la Venezia di Liselotte Höhs. La quale non è stata inventata da lei. Ma esiste. Solo che nessuno prima di lei l’aveva vista. O meglio, molti, molti di noi l’avevano vista, e ne avevano segretamente goduto, e forse ci avevano addirittura perso la testa. Ma nessuno era riuscito a dirla, a esprimerla, a codificarla, a trasmetterla agli altri. Che Venezia è? E’ triste o allegra? E’ allegra, è viva, è strepitosa, è folle, assomiglia a una favola, a una pasticceria, a una processione di santi, a un gioco di bambini, a una nostalgia della nonna, a un regalo di nozze, a una fata morgana, a una festa del patrono, al paesaggio intravisto attraverso le grate della monaca peccatrice, a una selva di tabernacoli, ai desideri del mattino, a un ricordo d’amore, a una palizzata di sogni. Non è facile né frequente vedere la Venezia di Liselotte Höhs. Però alle volte capita. A me è capitato. Ne ricevetti una grande impressione. Quasi non ci credevo. La prima volta era una giornata di vento, marzo1957, io stavo al davanzale della camera d’albergo, a rimirare quello spettacolo unico, nella città unica al mondo, suonò il telefono, andai a rispondere, non c’era nessuno. Ma da una caserma lontana, che forse non esisteva neppure, giunse un suono bianco e rosa d fanfara. E la seconda volta è stata ieri mattina. Ma pioveva, voi direte, com’è possibile? Certo, pioveva. Ma poi tornò il sole e le pietre mandarono luci e colori delicati e fulgenti, furono specchi, gioielli e conchiglie, bandiere, nuvole, buon sapore, regge fatate, ti aspettavo da tanti anni.” – Dino Buzzati