Un’ampia retrospettiva, allestita nel portego al primo piano di Palazzo Mocenigo – Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume, racconta il lungo e fondamentale percorso dell’artista veneziana Teodolinda Caorlin nell’ambito della Fiber Art, forma espressiva contemporanea, in cui si utilizzano – in una diversa panoramica di accezioni e materiali – il filo, la fibra e il tessuto. Una quindicina le opere in mostra e tra esse un gioiello della sua produzione – Animula vagula blandula – nuova installazione composta da otto arazzi di grandi dimensioni in cui sono rappresentati, al femminile, secondo il particolarissimo stile esecutivo dell’artista (ad intrecci a tela e gobeline su ordito libero) i sette “vizi” per eccellenza: Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira, Accidia, cui si aggiunge la Paura, quasi come loro inevitabile conseguenza.
In concomitanza con la mostra, a cura di Doretta Davanzo Poli, si inaugura la collana “Intrecci” (Fondazione Musei Civici di Venezia, 2012), una linea dedicata agli appuntamenti espositivi del Museo legati al mondo della moda e del tessile, in stretta relazione con le pubblicazioni di approfondimento scientifico recentemente avviate al Museo del Vetro e a Ca’ Pesaro. L’attenzione per la figura umana, in particolare per le donne – connota il filo logico di Teodolinda Caorlin, artista che vive e lavora a Venezia, città in cui si è formata artisticamente, tra l’Istituto d’Arte e le Collettive alla Bevilacqua la Masa.
In un itinerario fatto di manualità artistica e di impegno politico e sociale, scaturiscono opere che sono sintomo e manifestazione dei nostri tempi. Esempi evidenti, fra tutti, sono il Muro molle del 1991, arazzo-installazione dedicato al crollo del Muro di Berlino, o il dittico Hic Venetia iacet (2009-10), amoroso omaggio-denuncia per la sua città natale, opere entrambe in mostra, che sembrano recuperare modalità e stilemi cari alle installazioni precedenti, ma che ne differiscono per il significato profondamente allegorico, dove le figure acquistano una valenza iconica, pregnante e teatrale, quasi paradigmi materici di una condizione umana fragile e condivisa.
A queste opere si affiancano otto nuovi capi, realizzati su ordito scuro, con trame policrome dalle tonalità differenti e cangianti, in cui sono rappresentati i sette “vizi” – resi nell’iconografia pittorica fin dal Medioevo con immagini muliebri – e la “Paura”, loro inevitabile conseguenza. In essi l’artista esclude a priori ogni negatività concettuale e, travalicando qualsiasi pensiero religioso, riflette sulla condizione umana, soprattutto al femminile, su quelli che spesso sono stati definiti impropriamente “peccati capitali”.
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