Il ramo Mocenigo cosiddetto di San Stae, versione vernacolare di San Eustachio dal nome della parrocchia dov’è ubicata questa dimora, proveniva dai Mocenigo di San Samuele. Nicolò Mocenigo (1512-1588), fratello del doge Alvise (1507-1577), lasciò infatti, per volontà testamentaria, ai figli Marco Antonio e Tommaso i beni immobili di San Stae, con il conseguente distacco dal ramo principale, che a San Samuele abitava i due palazzi distinti in Casa Vecchia e Casa Nuova.
I Mocenigo furono una delle più illustri famiglie patrizie veneziane che diede alla Repubblica di Venezia ben sette dogi: Tommaso (dal 1414 al 1423), Pietro (dal 1474 al 1476), Giovanni (dal 1478 al 1485), Alvise I (dal 1570 al 1577 – doge vincitore di Lepanto, istituì la primogenitura con un legato di 20.000 ducati e l’obbligo di chiamare Alvise tutti i figli primogeniti, da qui i numerosi Alvise in famiglia), Alvise II (dal 1722 al 1732 – al quale si deve la riedificazione della facciata della chiesa di San Stae) e Alvise IV (dal 1763 al 1778).
Numerosi tra i Mocenigo di San Stae ricoprirono inoltre cariche di prestigio come eccelsiastici, procuratori, ambasciatori e capitani (celebre Lazzaro Mocenigo (1624-1657) che, riportando svariate vittorie contro i turchi, perse un occhio in combattimento e morì tentando di colpire direttamente Costantinopoli).
Il palazzo è stato infine legato alla città di Venezia nel 1954 per volontà di Alvise Nicolò,
ultimo discendente dei Mocenigo di San Stae. Solo alla scomparsa della vedova Costanza Faà di Bruno (1877-1974) l’immobile, il patrimonio in esso contenuto e l’archivio vennero formalmente consegnati alla Direzione belle arti del Comune di Venezia. Nel 1985, dopo consistenti interventi di restauro, il palazzo aprì al pubblico come museo, istituendo il Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume.
Storicamente l’edificio originale fu sottoposto a interventi di ampliamento e ristrutturazione, coinvolgendo l’acquisto di proprietà adiacenti e la sopraelevazione di un piano. L’attuale aspetto risale al Seicento, con la facciata sulla salizzada, ovvero la calle, completata in tempi successivi rispetto a quella che dà, tramite la porta d’acqua, accesso diretto al rio.
Il portego, termine indicante questo grande salone centrale attorno al quale sono disposti e in comunicazione gli altri ambienti, è caratteristico delle strutture architettoniche dei palazzi veneziani. Destinato alle feste e alla vita di rappresentanza della famiglia, vi risalta il monumentale doppio portale marmoreo sormontato da un timpano spezzato recante al centro, sorretto da due putti, lo stemma Mocenigo, che si ritrova poi disseminato lungo tutto il palazzo, soprattutto dipinto nei quadri e intagliato nelle cimase delle cornici.
Alle pareti si stagliano grandi quadri, principalmente raffiguranti illustri personaggi presso i quali i Mocenigo furono ambasciatori, mentre il lungo fregio che corre sotto il soffitto, realizzato su modello di quello della sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale, ricorda i membri illustri della famiglia accompagnati da brevi didascalie che ne narrano i tratti salienti delle carriere. I succinti tratti di parete non coperti dai dipinti sono invece decorati ad affresco con motivi architettonici originariamente realizzati dal quadraturista Agostino Mengozzi Colonna, poi successivamente oggetto di ridipinture.